Foglio d’informazione della Collaborazione Pastorale di Mogliano Veneto
Il Vangelo della domenica
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
Parola del Signore.
Vai ai testi della celebrazione domenicale su chiesacattolica.it
Il commento
Una scena potente, drammatica, detta del “giudizio universale”,
ma che in realtà è la rivelazione della verità ultima sull’uomo e
sulla vita, su ciò che rimane quando non rimane più niente:
l’amore. Perché il tempo dell’amore è più lungo del tempo della
vita.
La scena risponde a una domanda antica quanto l’uomo: cosa
hai fatto di tuo fratello? La Parola offre in risposta sei opere
ordinarie, poi apre una feritoia straordinaria: ciò che avete fatto
a uno dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me! Gesù
stabilisce un legame così stretto tra sé e gli uomini, da giungere
a identificarsi con loro: l’avete fatto a me! Il povero è come Dio, è
corpo e carne di Dio. Il cielo che il Padre abita sono i suoi figli.E
capisco che a Dio manca qualcosa: all’amore manca di essere
amato. È lì nell’ultimo della fila, mendicante di pane e di casa
per i suoi amati: li vuole tutti dissetati, saziati, vestiti, guariti,
consolati. E finché uno solo sarà sofferente, lo sarà anche lui.
Davanti a questo Dio resto incantato, con lui mi sento al sicuro. E
così farò anch’io, mi prenderò cura di un fratello, lo terrò al sicuro
al riparo del mio cuore.
Mi è d’immenso conforto sentire che il tema del giudizio non
sarà il male ma il bene; non peccati, debolezze, difetti, ma gesti
buoni, briciole gentili. Le bilance di Dio non sono tarate sul male,
ma sulla bontà; non pesano tutta la nostra vita, ma solo la parte
buona di essa. In principio e nel profondo, non è il male che
revoca il bene, è invece il bene che revoca il male delle nostre
vite. Sulle bilance del Signore una spiga di buon grano pesa più
di tutta la zizzania del campo. Gesù mostra così che il “giudizio” è
divinamente truccato, è chiaramente parziale, perché sono
ammesse sole le prove a discarico. Alla sera della vita saremo
giudicati sull’amore (Giovanni della Croce), non su colpe o
pratiche religiose, ma sul laico, umanissimo addossarci il dolore
dell’uomo.
La via cristiana non si riduce però a compiere delle buone azioni,
deve restare scandalosa, più alta, provocatoria, ripetere che il
povero è casa di Dio! Un Dio innamorato che canta per ogni
figlio il canto esultante di Adamo per la sua donna: “Veramente
tu sei carne della mia carne, respiro del mio respiro, corpo del
mio corpo”.
Poi ci sono anche quelli mandati via. La loro colpa? Hanno scelto
la lontananza: lontano da me, voi che siete stati lontani dai
fratelli. Non hanno fatto del male ai poveri, non li hanno umiliati
o derisi, semplicemente non hanno fatto niente. Omissione di
fraternità. Isolamento da paura perché “l’inferno sono gli
altri” (J.P. Sartre). Invece no, il vangelo risponde: “mai senza
l’altro”. Il Signore non guarderà a me, guarderà attorno a me, a
quelli di cui mi son preso cura. Senza, non c’è paradiso.
La preghiera
Quant’è bello, Signore,
lo stupore di chi opera il bene
e non lo ricorda;
di chi ha scelto di essere
dalla parte del bene
e lo realizza nella normalità
di scelte quotidiane.
Com’è sconvolgente lo stupore di chi,
a mani nude, dice nel vangelo:
«Quando, Signore?
Quando ti ho dato da bere?».
È come se il bene cercato e realizzato
diventasse un’abitudine,
un atteggiamento costante,
tanto forte nella sua normalità, da
scardinare il male.
Noi desideriamo, Signore,
arrivare a te,
con l’instancabile desiderio di vivere
come tu hai vissuto: amando!
Amen.
L'approfondimento della settimana
Imitare il Re
La liturgia ci propone l’ultimo discorso di Gesù, nel Vangelo di
Matteo, prima del suo ingresso nella passione. Anche nella
vita, quando ci troviamo alla fine si cerca di dire quello che è
più importante. Le ultime parole di Gesù ai suoi discepoli
riguardano paradossalmente gesti semplici, i gesti della
quotidianità. Come se Gesù volesse dire che quello che conta
non è se abbiamo fatto cose straordinarie, ma se abbiamo
amato nella cose più banali che la vita ci chiede.
Così in questo tempo di sgomento la domanda più importante
ritorna a essere questa: quanto amore ci stiamo mettendo nelle
cose ovvie della vita? Le cose ovvie sono quelle che il cuore
non può non vedere. I gesti semplici sono quelli di cui in
questo momento c’è davvero bisogno. I tempi di crisi
purificano il nostro sguardo e possono aiutarci a capire che
cosa conta veramente, per cosa vale spendere la vita.
Eppure il modo in cui Gesù parla di questi gesti e ci invita a
compierli non ha un valore puramente filantropico: qui non si
tratta solo di essere uomini e donne che riconoscono la dignità
dell’altro. Gesù si identifica con il più piccolo. Andare a cercare
colui che ha più bisogno, significa andare a cercare lui. Questi
gesti hanno un valore profondamente teologico: è la fede
vissuta, la teologia incarnata. Dio si lascia trovare dunque nella
piccolezza ed è bello riaffermarlo proprio nella solennità di
Cristo Re dell’universo, perché contemplare questa piccolezza
ci aiuta a purificare tutte le nostre idee di affermazione, di
potere, di gloria e di successo. In una cultura del primato, della
visibilità e della competizione, contemplare la figura del vero
Re umile e povero è la guarigione più adeguata alle nostre idee
malate di potere.
La misericordia vera è quella che diventa un modo di vivere,
quella che non fa proclami: nel Vangelo di questa domenica,
coloro che hanno compiuto gesti di misericordia non se ne
sono neppure accorti. Per loro era normale. La cosa
preoccupante però è che anche coloro che non hanno
compiuto gesti di misericordia non se ne sono accorti. Hanno
vissuto nell’indifferenza senza neanche percepirlo, non hanno
visto perché erano quotidianamente ripiegati su se stessi.
Il modo migliore per celebrare il Re è imitarlo: Cristo non solo
si fa trovare nel più piccolo, ma è colui che ha vissuto
pienamente l’attenzione alle esigenze dei più piccoli. È colui
che accoglie, visita e si prende cura. E mai come in questo
tempo abbiamo bisogno di vivere così, da cristiani!